Mentre stavo sfogliando vecchi numeri della rivista Le Scienze (versione italiana di Scientific American) alla ricerca di spunti ed approfondimenti per la preparazione di un nuovo corso, mi sono imbattuto in un articolo di marzo 2018 dal titolo eloquente: “Prevedere la prossima pandemia”.

Al di là degli argomenti trattati la conclusione mi è parsa più che mai emblematica: “Non si tratta di se ma di quando. Combatteremo di sicuro un’altra battaglia contro una pandemia, e questa è una chiamata alle armi che dovrebbe riunire l’intero mondo della ricerca, nonché la società civile”.

Andando poi ancora più indietro nel tempo, sono numerosi gli articoli di anni passati nei quali si sottolinea come, in un mondo sempre più interconnesso, la probabilità che un nemico invisibile metta in crisi l’intero sistema globale sia molto elevata.

La domanda sorge dunque spontanea: perché il SARS-CoV-2 ci ha colti impreparati? Perché i messaggi della scienza sono rimasti inascoltati? E perché adesso chiediamo a quella stessa scienza di tirarci fuori dai guai?

La risposta a tutte queste domande risiede nella percezione sbagliata che si ha della scienza, soprattutto in un paese come l’Italia. Percezione in parte alimentata dallo stesso ambiente scientifico.

Richard Feynman (fisico premio Nobel nel 1965) diceva che “la scienza è come il sesso, ha anche delle conseguenze pratiche, ma non è questo il motivo per cui la facciamo”. La scienza non ha sempre le risposte, anzi, lo scienziato è proprio colui che normalmente si pone le giuste domande davanti ad un fenomeno sconosciuto, quando ancora non ci sono risposte. La scienza si basa su fatti, prove e verifiche ed è un processo in divenire. In altre parole: accusare gli esperti di avere sottovalutato il problema del virus è un altro modo attraverso il quale chi dovrebbe avere responsabilità istituzionali si sta sottraendo a quelle stesse responsabilità.

Gli scienziati non esprimono opinioni (due pareri non hanno pari dignità, le hanno le prove che sono portate a sostegno dell’uno o dell’altro) ma raccolgono dati in modo corretto, dati che poi dovranno essere utilizzati in modo altrettanto corretto da chi alla scienza chiede supporto per prendere decisioni. Decisioni che seguono percorsi diversi da quelli seguiti dalla scienza.

Gli errori di comunicazione che anche i singoli scienziati commettono possono portare ad una percezione errata della scienza, vista come una sorta di magia inaccessibile. Chiedere la “fiducia negli esperti” rende ancora più oscura questa magia ed alla lunga porta a non credere più nella scienza, proprio perché non compresa. E a cercare conforto in spiegazioni tanto assurde quanto plausibili.

Ecco dunque che ciascuno, nella nostra società, dovrebbe svolgere il compito proprio del ruolo che riveste: gli scienziati devono porsi le giuste domande su fenomeni conosciuti e sconosciuti, raccogliendo ed elaborando i dati che ne derivano, i media raccontare con linguaggio accessibile, corretto e responsabile quanto proposto dalla scienza ed i politici scegliere la strada migliore da percorrere.

Solo così si potrà pensare di affrontare le sfide del mondo futuro consapevolmente ed adeguatamente anziché correre ai ripari per limitare i danni causati da qualcosa di ampiamente previsto e prevedibile, con ricadute sociali ed economiche disastrose.

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